Liliana Cavani: «Vincere il Leone a 90 anni è una seconda giovinezza. Combatto i tabù ideologici, non quelli sessuali»
La regista si racconta a 7 alla vigilia della Mostra del cinema in cui riceverà il premio alla carriera: «Il tempo non esiste, è come il filo di un grande gomitolo che non finirà mai. I ragazzi senza futuro? Andranno avanti. Per istinto»
Liliana Cavani: il Leone d’oro alla carriera alla 80a Mostra del cinema di Venezia coincide con i suoi 90 anni. Ha detto di lei il direttore della Mostra, Alberto Barbera: «Il suo è uno sguardo politico nel senso più alto del termine, antidogmatico, non allineato, coraggioso anche nel modo in cui affronta i tabù più sfidanti». E poi, sempre a Venezia, la presentazione fuori concorso dell’atteso film L’ordine del tempo , liberamente ispirato all’omonimo saggio del fisico Carlo Rovelli per Adelphi, una scommessa intellettuale e narrativa. Domanda ovvia ma inevitabile: cosa pensa di tutto questo?
«Una bella sorpresa. L’occasione di una seconda giovinezza. Per me questo film è importante per tanti motivi. Ero senza progetti da tre anni. È un po’ come aver ricominciato».
Si riconosce nella lotta ai tabù?
«Certamente. Io però non penso ai tabù sessuali ma a quelli ideologici, o politici. In quella motivazione, sì, mi riconosco».
Il Leone alla carriera a Venezia le piace come riconoscimento?
«Certamente sì, molto. E pensare che a Venezia vinsi un Leone d’Oro per il documentario nel 1965 con Philippe Pétain: processo a Vichy. Non ero lì, non avrei mai pensato di vincere. E non andai a ritirarlo: ero lontana, in vacanza, stavo bene dov’ero…».
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