Liliana Cavani: “Io, il Leone d’oro e la mia seconda giovinezza”
Regista all’ANSA dagli Usa, ‘Il tempo? E’ un mio collaboratore’
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“Una seconda giovinezza”, dice e poi racconta: “Con Venezia ho un grande legame”.
“Vinsi nel 1965 con il documentario PHILIPPE PÈTAIN. PROCESSO A VICHY”, dice la regista che dopo il Centro sperimentale di cinematografia ha realizzato all’inizio della carriera documentari che hanno fatto la storia, come quello meraviglioso sulla DONNA NELLA RESISTENZA, premiato con il Leone di San Marco per il documentario. “Non lo ritirai neppure – confessa – ero in vacanza molto lontano e stavo bene dove ero”.
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Il legame con i giovani? “Forse perché, pur partendo da storie personali, tematiche che mi stanno a cuore, i miei film hanno sempre avuto un orizzonte più largo e universale, capace di interessare in tanti”. Anche il suo ultimo film, dal libro di Rovelli, è personale? “Sì, con il tempo io ci collaboro – ironizza lucida l’autrice -, è molto utile averlo presente, io non lo dimentico mai”.
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“Protagonista tra i più emblematici del nuovo cinema italiano degli anni Sessanta, con un lavoro che in seguito attraversa oltre sessant’anni di storia dello spettacolo, Liliana Cavani – ha detto il direttore della Mostra del cinema di Venezia Alberto Barbera – è un’artista polivalente capace di frequentare la televisione, il teatro e la musica lirica con il medesimo spirito non convenzionale, e la stessa inquietudine intellettuale che hanno reso celebri i suoi film. Il suo è sempre stato un pensiero anticonformista, libero da preconcetti ideologici e svincolato da condizionamenti di sorta, mosso dall’urgenza della ricerca continua di una verità celata nelle parti più nascoste e misteriose dell’animo umano, fino ai confini della spiritualità. I personaggi dei suoi film sono calati in un contesto storico che testimonia una tensione esistenziale verso il cambiamento, giovani che cercano risposte a quesiti importanti, soggetti complessi e problematici nei quali si riflette l’irrisolto conflitto fra individuo e società. Il suo è uno sguardo politico nel senso più alto del termine, anti-dogmatico, non allineato, coraggioso nell’affrontare anche i più impegnativi tabù, estraneo alle mode, refrattario ai compromessi e agli opportunismi produttivi, aperto invece a una fertile ambiguità nei confronti dei personaggi e delle situazioni messe in scena. Una feconda lezione che è insieme di estetica e di etica, da parte di una protagonista del nostro cinema, che ne definisce la perenne modernità”.